Posted by Shazarch on 18 Mar 2021

Tempio del Divo Giulio

Tempio del Divo Giulio

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"Deposero (la spoglia di Cesare) nel Foro, là dove è l'antica reggia dei Romani, e vi accumularono sopra tavole, sedili e quanto altro legname era lì (…) accesero il fuoco e tutto il popolo assistette al rogo durante la notte. In quel luogo venne eretta dapprima un'ara, ora vi è il tempio dello stesso Cesare, nel quale egli è onorato come un Dio".

Il Tempio del Divo Giulio sorge, come racconta Appiano, lì dove il suo corpo era stato cremato: nella parte orientale del Foro, presso la Regia, residenza ufficiale di Cesare in quanto pontifex maximus. Gli autori antichi rendono testimonianze diverse sul funus publicum del dittatore e sulla laudatio funebris tenuta da Antonio, ma concordano sul fatto che il popolo in tumulto si era impossessato del feretro e aveva improvvisato una pira. Al suo posto viene eretta poi una colonna di marmo di Numidia, dedicata al Padre della Patria (Parenti Patriae), con accanto un altare, e questo diventa il luogo di un culto popolare che permane anche dopo la rimozione decisa dal console Dolabella. Svetonio narra le prime forme del culto tributato a Cesare, dell’abitudine di fare qui “sacrifizi, di formulare voti, di risolvere certe liti giurando nel nome di Cesare”. Racconta anche come la divinizzazione di quest’ultimo, dopo la morte, non avvenne solo “per decisione formale, ma anche perché la gente lo credette tale” e cita, a questo proposito, la cometa comparsa a Roma per sette giorni consecutivi, interpretata come simbolo dell’ingresso di Cesare tra gli dei. 
Per onorare il Divo Giulio, il primo ad essere proclamato tale, viene dunque decretata dal Senato nel 42 a.C.,  su iniziativa dei triumviri Antonio, Lepido e Ottaviano, la costruzione di un tempio che sarà inaugurato nel 29 a.C., celebrando anche i trionfi di Ottaviano in Illiria, in  Egitto e ad Azio. Cambiano nel tempo i significati politici dell’aedes. All’inizio, nella conquista del potere, Ottaviano ha bisogno di presentarsi come legittimo successore di Cesare, come divi filius. Ma in seguito, nello scenario mutato dalla vittoria di Azio e dall’acquisizione del titolo di Augusto nel 27 a.C., diventa importante il richiamo alle sue vittorie e il tempio diventa uno dei luoghi del loro racconto, non solo del culto di Cesare, come mostrano anche alcuni interventi.

Il tempio originario  - di cui restano parte del basamento, frammenti della decorazione marmorea e il nucleo dell’altare  - poggiava su un alto podio che ne esaltava la monumentalità. Due scale situate ai lati portavano al primo livello di questo podio mentre una scala realizzata tra le colonne conduceva al pronao. Quest’ultimo era definito in facciata da sei colonne di ordine corinzio, molto ravvicinate tra loro (come è proprio del tempio picnostilo secondo Vitruvio). La terza e la quarta, caratterizzate secondo alcune ricostruzioni da un intercolunnio diverso, inquadravano la porta di ingresso e, al di là di essa, la statua di Cesare, posta all’interno della cella che occupava l’intera larghezza del tempio.  
Sul lato corto del podio verso il Foro si apriva una nicchia semicircolare che conteneva un altare dedicato a Cesare già esistente, voluto forse dallo stesso Ottaviano nel 42 a.C. come mostra una serie di monete coniate intorno al 36 a.C. quando il tempio era ancora in costruzione.

Questa nicchia viene chiusa da Ottaviano, probabilmente a ridosso del suo ritorno dall’Oriente e del suo successo con i Parti nel 19 a.C.  La parete elevata al centro esalta la linearità del basamento su cui erano già esposti i rostri delle navi vinte ad Azio. L’altare è conservato ma diventa inaccessibile. Ormai “la permanenza di un culto polare intorno all’ara di Cesare (…) costituiva solo un fastidioso problema per il governo augusteo” (F. Coarelli), interessato invece ad eliminare in questo modo una testimonianza del passato legata alla guerra civile dopo la morte di Cesare.


Cambia il contesto stesso del Tempio. Il monumentale edificio rivestito di marmi non occupa più da solo il centro del lato corto orientale del Foro. Le ricostruzioni mettono in evidenza la presenza dell’Arco Partico alla sua destra, in alcuni casi anche dell’arco Aziaco alla sua sinistra; formulano ipotesi diverse per gli accessi laterali al Tempio e per la tribuna degli oratori (Rostra aedes divi Iulii), interna o esterna ad esso; evidenziano le possibili connessioni con il retrostante edificio della Regia; studiano le relazioni spaziali con il vicino Tempio dei Dioscuri e con le Basiliche disposte sui lati lunghi del Foro.
Il Tempio del Divo Giulio segna, in ogni caso, una nuova accentuazione del ruolo della parte orientale di quest’ultimo: riservata alla famiglia del princeps ed espressione, nella specularità rispetto alla parte occidentale del Foro, della sostanziale diarchia princeps-senatus (F. Coarelli).

 Tempio del Divo Giulio_Testo con indicazione delle fonti


"Deposero (la spoglia di Cesare) nel Foro, là dove è l'antica reggia dei Romani, e vi accumularono sopra tavole, sedili e quanto altro legname era lì (…) accesero il fuoco e tutto il popolo assistette al rogo durante la notte. In quel luogo venne eretta dapprima un'ara, ora vi è il tempio dello stesso Cesare, nel quale egli è onorato come un Dio".

Il Tempio del Divo Giulio sorge, come racconta Appiano (Appiano, De bello civile, 1.4,2.148, 3.2.), lì dove il suo corpo era stato cremato: nella parte orientale del Foro, presso la Regia, residenza ufficiale di Cesare in quanto pontifex maximus. Gli autori antichi rendono testimonianze diverse sul funus publicum del dittatore e sulla laudatio funebris tenuta da Antonio, ma concordano sul fatto che il popolo in tumulto si era impossessato del feretro e aveva improvvisato una pira. Al suo posto viene eretta poi una colonna di marmo di Numidia, dedicata al Padre della Patria (Parenti Patriae), con accanto un altare, e questo diventa il luogo di un culto popolare che permane anche dopo la rimozione decisa dal console Dolabella. Svetonio narra le prime forme del culto tributato a Cesare, dell’abitudine di fare qui “sacrifizi, di formulare voti, di risolvere certe liti giurando nel nome di Cesare” (Svetonio, Vita dei Cesari, I, 84-85). Racconta anche come la divinizzazione di quest’ultimo, dopo la morte, non avvenne solo “per decisione formale, ma anche perché la gente lo credette tale” e cita, a questo proposito, la cometa comparsa a Roma per sette giorni consecutivi, interpretata come simbolo dell’ingresso di Cesare tra gli dei (Svetonio, Vita dei Cesari, I, 88). 
Per onorare il Divo Giulio, il primo ad essere proclamato tale, viene dunque decretata dal Senato nel 42 a.C.,  su iniziativa dei triumviri Antonio, Lepido e Ottaviano, la costruzione di un tempio che sarà inaugurato nel 29 a.C., celebrando anche i trionfi di Ottaviano in Illiria, in  Egitto e ad Azio. Cambiano nel tempo i significati politici dell’aedes. All’inizio, nella conquista del potere, Ottaviano ha bisogno di presentarsi come legittimo successore di Cesare, come divi filius. Ma in seguito, nello scenario mutato dalla vittoria di Azio e dall’acquisizione del titolo di Augusto nel 27 a.C., diventa importante il richiamo alle sue vittorie e il tempio diventa uno dei luoghi del loro racconto, non solo del culto di Cesare, come mostrano anche alcuni interventi.

Il tempio originario  - di cui restano parte del basamento, frammenti della decorazione marmorea e il nucleo dell’altare  - poggiava su un alto podio che ne esaltava la monumentalità. Due scale situate ai lati portavano al primo livello di questo podio mentre una scala realizzata tra le colonne conduceva al pronao. Quest’ultimo era definito in facciata da sei colonne di ordine corinzio, molto ravvicinate tra loro (come è proprio del tempio picnostilo secondo Vitruvio, in Vitruvio, De architectura, Libro II). La terza e la quarta, caratterizzate secondo alcune ricostruzioni da un intercolunnio diverso, inquadravano la porta di ingresso e, al di là di essa, la statua di Cesare, posta all’interno della cella che occupava l’intera larghezza del tempio.  
Sul lato corto del podio verso il Foro si apriva una nicchia semicircolare che conteneva un altare dedicato a Cesare già esistente, voluto forse dallo stesso Ottaviano nel 42 a.C. come mostra una serie di monete coniate intorno al 36 a.C. quando il tempio era ancora in costruzione.

Questa nicchia viene chiusa da Ottaviano, probabilmente a ridosso del suo ritorno dall’Oriente e del suo successo con i Parti nel 19 a.C.  La parete elevata al centro esalta la linearità del basamento su cui erano già esposti i rostri delle navi vinte ad Azio. L’altare è conservato ma diventa inaccessibile. Ormai “la permanenza di un culto polare intorno all’ara di Cesare (…) costituiva solo un fastidioso problema per il governo augusteo” (Filippo Coarelli, Il Foro Romano Periodo repubblicano e augusteo, Roma, 1985, vol. II, p. 259), interessato invece ad eliminare in questo modo una testimonianza del passato legata alla guerra civile dopo la morte di Cesare.


Cambia il contesto stesso del Tempio. Il monumentale edificio rivestito di marmi non occupa più da solo il centro del lato corto orientale del Foro. Le ricostruzioni mettono in evidenza la presenza dell’Arco Partico alla sua destra, in alcuni casi anche dell’arco Aziaco alla sua sinistra; formulano ipotesi diverse per gli accessi laterali al Tempio e per la tribuna degli oratori (Rostra aedes divi Iulii), interna o esterna ad esso; evidenziano le possibili connessioni con il retrostante edificio della Regia; studiano le relazioni spaziali con il vicino Tempio dei Dioscuri e con le Basiliche disposte sui lati lunghi del Foro.
Il Tempio del Divo Giulio segna, in ogni caso, una nuova accentuazione del ruolo della parte orientale di quest’ultimo: riservata alla famiglia del princeps ed espressione, nella specularità rispetto alla parte occidentale del Foro, della sostanziale diarchia princeps-senatus (Cfr. Filippo Coarelli, Il Foro Romano Periodo repubblicano e augusteo, Roma, 1985, vol. II, pp. 320-322).